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Varanasi, pazza città spirituale

Varanasi, pazza città spirituale

Città pazza Varanasi. Scendo dal treno che da Agra mi porta a Varanasi e vado in ostello col solito tuk-tuk. Mezz’ora di traffico e bestemmie. In quel preciso momento decido che è l’ultima citta grande che faccio, è l’ultima volta che respiro tutta sta merda.

Passo tre notti in un ostello movimentato ma carino e molto rilassato.

Varanasi è la Città Sacra degli Induisti: ogni Induista dovrebbe almeno una volta nella sua vita andare a Varanasi e immergersi nel sacro fiume Gange almeno da 5 diversi ghats, ossia delle rampe di scale che terminano nell’acque del fiume. Ogni mattina all’alba, gli Indù iniziano a compiere dai ghats le proprie abluzioni nell’acqua sporca e puzzolente. È come se i veneziani si immergessero tutte le mattine nei canali. Le malattie e i topi, dall’acqua saltano sulle schiene degli indiani leccandosi i baffi.

Inoltre secondo gli Induisti, solo morendo e venendo cremati sulle sponde del Gange a Varanasi, si può sfuggire alla continua reincarnazione, e quindi alla continua sofferenza.

Mi avventuro con un ragazzo sloveno conosciuto in ostello per le viuzze strette strette della città in direzione dei ghat. Moto che sfrecciano, carretti trainati a mano, mucche e tori che occupano tutto il passaggio, scimmie che saltano da un muro all’altro, cani ovunque, biciclette e addirittura tuk-tuk anche qua. Le macchine per fortuna non ci passano.

Arriviamo sul Gange, su uno dei ghat principali e sembra di essere in un film. L’atmosfera è surreale, ci sentiamo come se fossimo drogati. Subito si avvicinano persone a chiedere offerte in cambio di presunte benedizioni o massaggi per fare vibrare l’energia. Accettiamo per vedere di che si tratta. Un santone benedice me e tutta la mia famiglia, invitandomi a ripetere le parole che lui continua a ripetere come in trance. Io dico più meno parole a caso, cercando di non mettermi a ridere. Finisce la sua benedizione, mi pittura la fronte di giallo e rosso. Fine. Chiede l’offerta di cinquecento rupie. Che offerta è? Io gli dò venti rupie, lui mi maledice e me ne vado. Ci sono santoni e sadhu in ogni angolo, vestiti di stracci a fumare hasish da piccoli cilum e chiedere le carità. Sono sicuro che non riesco a capire davvero la spiritualità e la surrealità di questo luogo; a momenti mi sembra di essere in una piazza di Bologna circondato da punkabbestia.

Un incantatore di serpenti sta giocando con tre cobra che salgono da un cesto di vimini, esattamente come me li immaginavo. Mi vede e si ferma. Mi chiede soldi per andare avanti. Me ne vado. Mi insulta, almeno credo.

Un ragazzo mi si avvicina, mi dice che crede nel voodoo e che io entro sera morirò. Senza dir altro se ne va. Sorrido.

Per le strade ci sono molti cortei di ogni tipo ma soprattutto cortei funebri che portano barelle con i cadaveri pronti per essere cremati. Nel ghat dove bruciano i corpi, l’aria è pesante, anche perchè prima di venire bruciati vengono avvolti in coloratissimi e lucidissimi teli di plastica. In questi ghat le donne della famiglia del deceduto non possono entrare per assistere alla cerimonia: se si mettessero a piangere, l’anima non interromperebbe il ciclo delle reincarnazioni; e l’uomo che mi ha spiegato questo mi dice “le donne sono deboli e piangono sempre”. Points of view.

Come sempre il business religioso ha vinto. Incredibile quante offerte da stranieri e indiani finiscano in mano di questi accattoni e ai presunti baba. Chiedono i soldi per fumare e mangiare e per comprare fiori, incensi e polverine colorate per le loro variegate divinità. Quando vorrò diventare ricco inventerò una nuova religione.

Mi perdo nel bazar ed è una meraviglia di colori, tessuti, souvenir, talismani religiosi e non. La gente mi saluta e mi invita a entrare nei negozi o guardare le loro bancarelle. Io non ho bisogno di niente, sarebbe solo peso in più da portare a spasso per i prossimi mesi, ma entro in un chiosco e mi dicono di sedermi e mi viene offerto un chai tea. Non chiacchiero con loro, parlano solo hindi, ma ci sfidiamo a sorrisi e poi me ne vado perdente. Non c’è modo di capirsi.

Anche qua abbondo in street food; una sera ceno per strada, assaggiando nei vari chioschi. Pancia piena e 20 rupie in meno, meno di 30 centesimi di euro. In un ristorante vicino all’ostello, ci sono stato tre volte, spendendo circa 2 euro alla volta con caffè e bibita. Incredibile. Non seguo orari per mangiare, seguo solo la fame.

Nel frattempo ho preso il biglietto e sono montato sul treno che da Varanasi, in circa 21 ore, mi porterà a Jodhpur, in Rajasthan. Inoltre ho trovato un contatto a Goa, sulla costa ovest, e tra dieci giorni mi aspetta la prima esperienza di lavoro workaway; devo essere a Goa il 4 di dicembre per rimanere 2-3 settimane. C’è tempo di andare a ovest e poi scendere a sud, guardarsi attorno e andare a lavorare un po’.

One thought on “Varanasi, pazza città spirituale

  1. Che bello leggerti caro Luca, tu vedi cose che io non vedrò mai se non attraverso i tuoi occhi, ti seguo molto volentieri…
    Grazie e buona continuazione! ciao zia

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