Arrivo a Agra, città dell’Uttar Pradesh.
Mi aspetto un po’ più calma, e in effetti la città essendo più piccolina è un po’ più vivibile. Dai 26 milioni di abitanti di Nuova Delhi, passo ai soli 1,5 milioni di Agra, non che sia esattamente un paesino…l’aria anche qua comunque è pesante e girare in tuk-tuk non aiuta certo a purificare i polmoni; sto pensando di comprarmi una mascherina oppure di spostarmi abbastanza velocemente a ovest o sud. Mi dicono che la situazione è più o meno la stessa in tutte le città del nord. Quando la sera mi soffio il naso scende catrame e volte sulle strade diventa difficile anche solo respirare normalmente. Non è questo che sto cercando.
Con il tedesco mio compagno di camera dell’ostello, decidiamo di visitare il Taj Mahal all’alba. E’ qualcosa di meraviglioso e la pace che si sente passeggiando per i giardini, nonostante sia affollato già a quell’ora è qualcosa di incredibile. Non sono un amante di palazzi e architettura in genere, ma davvero questo gioiellino in marmo bianco mi rimarrà sempre scolpito nella memoria: magnifico. Incredibile armonia e simmetria, non solo del mausoleo ma di tuto il giardino e dei palazzi che la circondano. La leggenda del Taj Mahal racconta che il Gran Mogol fece costruire questa meraviglia come tomba per sua moglie, che quando morì venne sepolta perfettamente al centro del mausoleo per mantenere la simmetria fino all’ultimo millimetro. Per sè stesso invece il Gran Mogol, aveva iniziato a costruire un giardino dall’altro lato del fiume, che sarebbe stato il contorno ad una copia esatta del Taj Mahal, ma di marmo nero. I due Taj Mahal sarebbero stati collegati poi con un ponte d’oro. Il figlio, vedendo il padre sperperare un patrimonio per la costruzione del Taj Mahal, si mette di traverso e spodesta il padre, il quale morirà poco dopo, e verrà sistemato all’interno del mausoleo al fianco della moglie. È proprio lui quindi a rovinare l’incredibile simmetria che lui stesso aveva tanto voluto.
Camminando a casaccio per le strade, assaggio tutto lo street food possibile, che è spesso fritto, ed è una delizia, servito in piccole ciotoline fatte di foglie di banyan. Non solo cibo per le strade; gli scarichi che arrivano direttamente in strada a volte non sono proprio piacevoli e c’è così tanta povertà che sembra di essere a un’esibizione di disgrazie. Per capirci, una caviglia rotta e storta, qua spesso se la tengono rotta e storta per tutta la vita. Non hanno i soldi per curarsi.
Le facce serie che sembrano cattive, e gli sguardi inquisitori degli indiani, si aprono in sorrisi giganti se solo si prova a sorridergli in anticipo, e la testa comincia a dondolare in segno di approvazione.
Il giorno dopo, sfruttando il fatto che quel giorno è gratuito, entro nel forte di Agra, altra meraviglia di roccia arenaria rossa, che fa parte del patrimonio riconosciuto dall’Unesco.
In ostello faccio amicizia con un ragazzo scozzese di origine pachistane che mi dà alcune dritte per visitare Varanasi, ceno con lui e poi mi fiondo ad aspettare il treno in stazione, che arriva in ritardo di un’ora e mezza, come da copione. Mi metto nella mia cuccetta nella sleeper class, la seconda più economica tra le cinque classi dei treni indiani (6 euro!!). Sono l’unico non indiano dell’intero vagone, unico punto bianco, e tutti mi guardano con curiosità e mi chiedono di fare dei selfie con me, dondolando la testa felici. Vabbè.
Nel viaggio notturno che in quindici ore mi porta a Varanasi, praticamente non dormo: Stipato nella mia cuccetta di un metro e ottanta divisa tra me e il mio zaino, tra rutti, scoregge, la vibrazione dell’intero vagone che russa all’unisono e gli urli dei venditori di chai, dahl e oggetti semi-inutili.
In ritardo di 4 ore, ma arrivo alla città simbolo della spiritualità Indù, Varanasi.