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Sushmita e il venditore di marijuana

Sushmita e il venditore di marijuana

Mi trovo sul punto più alto dello sperone che divide la spiaggia di Agator da quella di  Anjuna. E’ pieno di gente, ma trovo un posto per sedermi da solo e godermi in pace il tramonto. Sono appena arrivato a Goa. Sono stanco ma voglio vedere il tramonto prima di tornare nel mio ostello e andare a dormire. 
Come sempre si avvicinano in cento per chiedermi di fare un selfie con loro. Rifiuto gentilmente dopo il terzo, ma ci sono quelli che insistono e che lo fanno comunque abbracciandomi. Quando gli chiedo perché vogliono fare un selfie con me, loro mi rispondono “perché no?” oppure “yes, yes, yes, selfie”, e  allora cosa vuoi dirgli?

Il tramonto è fantastico. Una palla rossa che cade tra le nuvole rosa e arancioni fino a nascondersi nel mare. Ora capisco un pò di più le emozioni dei protagonisti del romanzo Shantaram.

Vedo avvicinarsi alle mie spalle qualcuno e sento una brutta energia, ma sbaglio.

Chiudo lo zaino con tutti i miei averi e mi giro esasperato, ma a un metro da me  trovo una ragazzina che mi sorride, mi guarda e mi dice “sei stanco, devi andare a dormire”. In effetti lo ero, ed era quasi ora di andare. Si presenta, si chiama Stephanie, ma il nome indiano è Sushmita, che significa buon sorriso. Mi chiede di me e perché viaggio da solo. Gli chiedo di lei e cosa fa. Viaggia un pò, come se lo può permettere. E’ del Karnataka, la regione confinante a quella di Goa. Non riesco a definire l’età, ma non gliela chiedo. Sembra una bambina, ma ragiona come una adulta, molto matura. Parla molto bene l’inglese  diversamente da tutti gli altri che ho conosciuto in India. Gli occhi neri magnetici mi guardano, sorride e apre la sua borsa. Vedo che tira fuori qualcosa dallo zaino e la anticipo “non ho soldi per comprare niente”. Lei mi chiede se mi piacciono gli elefanti e sorride. Lo sapeva che mi piacevano gli elefanti? Tira fuori un mazzo di braccialetti e me ne porge uno. Elefanti. Mi guarda e sorride. La guardo e gli dico che mi ha fregato con gli elefanti. Sorride. Lei lo sapeva. Compro, contrattando un prezzo giusto, la saluto e lei mi dice di andare a dormire. Mi giro, metto il braccialetto nello zaino, mi rigiro e non c’è più.

Rimango a guardare un attimo il mare e il tramonto e alle mie spalle sento qualcuno che in un inglese mescolato con un accento indiano e mezzo padovano arrotondando la r da vero veneto mi dice “marijuana?”. Non ero convinto di aver sentito bene. Mi giro e un signore che sembra in pigiama, con i capelli lunghi fino al collo, chiaramente indiano, mi ripete “marijuana my friend?”. Mi metto a ridere, gli dico che non posso compare da tutti gli spacciatori che me la propongono. Non dice niente, se ne va e quando mi giro non c’è più.

Prendo il mio scooter e riprendo la via dell’ostello. Dopo buoni venti minuti di strada, lo stesso accento venero e la stessa proposta su una rotonda sento di nuovo “Marijuana?”. Stupito dall’accento veneto mi giro e vedo ancora lo stesso uomo, che sorride e mi guarda e da lontano mi dice “marijuana?”. Cos’è il mio angelo custode?

Filo dritto, torno in ostello e vado a dormire come mi ha detto di fare Sushmita.

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