Giovedì 12 ottobre 2017, finirà tra le date che non scorderò. Ero a Maputo, ma poteva succedere a Trento, Milano, Londra, Parigi e in qualsiasi città definita sicura, dove queste cose succedono tutti i giorni.
Ore 3:30 ci svegliamo e ci alziamo per andare a prendere la macchina, che per non lasciarla piena di spesa in strada, è parcheggiata in un posto sicuro a dieci minuti di cammino nella “zona bene” di Maputo. Dovevamo partire per Tofo, e fare circa 7 ore di macchina; eravamo di buonumore mentre scendevamo in ascensore dal 24 piano del Palazzo Vermelho di Maputo, dove eravamo ospiti di amici francesi. Siamo scesi in strada tranquilli e ridendo, commentando come l’ingresso di uno dei migliori hotel di Maputo, il Cardoso, abbia un ingresso che sembra quello di un cinema con il perfetto spazio illuminato per le locandine ai lati della maestosa entrata. Non c’era un’anima viva per strada.Poco più avanti un incrocio ben illuminato che da su un grande giardino. Attraversiamo l’incrocio e vediamo due persone passare e scendere verso un giardino che costeggia la strada con un cane al guinzaglio. Notiamo che sembra un dobermann gigante che stavano legando ad una staccionata. Attraversiamo l’incrocio e ci inoltriamo per una strada alberata e completamente buia per alcuni metri davanti all’ingresso di una scuola. Praticamente non ce ne accorgiamo e i due ci sono addosso. Uno mi spinge su un albero puntandomi un coltello alla gola, l’altro prende il mio amico minacciandolo con il machete e colpendolo sugli stinchi con la parte rovescia. Ci dicono di lasciargli tutto quello che abbiamo. Io cerco subito di tirare fuori il portafoglio per dargli tutto quello che ho, tanti soldi, circa 200 euro. Continua a colpirmi sul braccio con il pugno chiuso della mano armata, simulando una aggressione con il coltello. Mi prende lo zaino e mi ruba tutto quello che ho. Passaporto, computer, gopro, macchina fotografica, Kindle, caricatori, il token per l’accesso alla banca online. Lascia tutto il resto per terra tra cui una lettera importante che viaggiava con me all’interno di un libro, per terra, poi lancia lo zaino. E se ne va col suo amico bandito.
Guardo il mio amico; anche a lui hanno portato via soldi e la borsa col computer, un hard disk e tutti i dati del lavoro. Stiamo bene, non siamo feriti, solo silenziosi, arrabbiati e spaventati. Raccogliamo i nostri vestiti sparsi per strada , gli rimettiamo nei nostri zaini improvvisamente vuoti e leggeri e ci incamminiamo verso la macchina. Usciamo in silenzio dal parcheggio custodito e andiamo verso il Fatima’s Backpackers per raccogliere due amici che ci aspettano per andare a Tofo assieme. Raccontiamo velocemente ai due l’accaduto e assieme andiamo a cercare il più vicino comando di polizia.
Ne troviamo una nelle vicinanze e andiamo a chiedere aiuto e spiegare la situazione.
L’uomo che stava di guardia dormiva seduto a una scrivania, senza uniforme ma con una tuta imitazione dell’Adidas e il Kalashnikov a tracolla. Si sveglia di soprassalto al nostro arrivo, e proviamo a spiegarli l’accaduto. Nel mentre il mio amico riesce a localizzare il suo cellulare rubato tramite il GPS. Lo spieghiamo ai poliziotti che increduli davanti a questa incredibile tecnologia si gasano e si caricano di adrenalina; svegliano tutto il comando, imbracciano i fucili automatici e partiamo a guidare la spedizione alla ricerca di questi ladri.
Io guida la macchina, col mio amico a fianco a guidarmi con Google map in una mano con un telefono e la localizzazione GPS del suo telefono nell’altra mano; due poliziotti che incitano a saltare i semafori rossi e di andare a tutta velocità sono seduti sui sedili posteriori. Seguiamo i banditi a distanza di chilometri finche si infilano in un barrio e il puntino sul GPS si ferma in un quartiere baraccopoli. Li raggiungiamo e a farci compagnia arriva un altro fuori strada della polizia con altri 4 poliziotti pieni di voglia di fare qualcosa a di buono.
Ci fermiamo su una strada piena di buche e grosse pozzanghere, miseria e sporcizia; era l’ultimo punto chiaramente raggiungibile attraverso Google map, poi davanti a noi si apriva lo slum, la baraccopoli vera e propria. Un cunicolo di case, viuzze, lamiere, scarichi a cielo aperto, miseria e fame. Povertà tanta. Troppa. I poliziotti ci dicono che quello è il quartiere dove crescono tutti i maggiori delinquenti di Maputo. Ci dicono di prepararci a entrare, ma noi ci rifiutiamo e vogliamo stare in macchina, e chiediamo che un poliziotto resti di guardia con noi. Loro non sanno e non capiscono come usare il GPS, quindi lasciano perdere la tecnologia e caricano le armi come se partissero per ammazzare dei terroristi. Fucili d’assalto e pistole arrugginite. Chiediamo urlando che nessuno venga ucciso o ferito per recuperare computer e macchine fotografiche e ci assicurano che nessuno morirà. Partono di corsa un po’ goffi, alcuni arrancando sotto al peso della pancia e spariscono nello slum. Il poliziotto di guardia con noi, ci fa vedere la sua pistola, fiero e dice che siamo al sicuro.
Sentiamo colpi d’arma da fuoco. Ci spaventiamo e rimontiamo in macchina. Quello che speriamo è che non escano dallo slum con due corpi tra le braccia. Ci immaginiamo due corpi a caso, non quelli dei colpevoli. Sentiamo altri spari. Passa un altro lungo minuto, mentre alcuni passanti cominciano ad apparire andando verso il lavoro o verso la speranza come nulla fosse. Tornano correndo i poliziotti, tutti con in mano la pistola puntata in alto o il Kalashnikov pronto all’uso. Quello grassottello sembra un postino che corre per consegnare le lettere, porta a tracolla la borsa del computer del mio amico e sotto l’ascella tiene il mio. Hanno altre cose in mano ma non vedo cosa. Alla fine escono gli ultimi due poliziotti trascinando tre bombole del gas, probabilmente proveniente da altri furti, visto che qua in Mozambico costano quasi come una paga minima, meno di 100 euro al mese, che è anche la più frequentente percepita quando hanno la fortuna di lavorare. Sono sicuro che le bombole non verranno iscritte nella lista degli oggetti recuperati, ma faranno felice la moglie di qualche poliziotto.
Siamo pronti a ripartire, il pilota della macchina della polizia però non è d’accordo, nella macchina ci sarà benzina per fare non più di 3 chilometri. Noi non abbiamo soldi, ce li hanno presi tutti, ma abbiamo le carte di credito. Fortuna che c’è un distributore molto vicino. Facciamo il pieno alla macchina dei poliziotti, che nel mentre, pieni di adrenalina si raccontano cosa è successo, chi ha sparato, come si sono mossi all’interno dello slum. Ci raccontano esaltati che hanno sparato in aria per allontanare il grosso cane, e che poi hanno bussato alla porta di una baracca e poi sparato in aria per spaventare i colpevoli che se la sono data a gambe dal retro. Fatta benzina il più alto in carica tra i poliziotti, ci dice di accendere le luci d’emergenza, e di seguirli a tutta velocità verso la stazione. Gli diciamo che adesso possiamo andare con calma, che non c’è nessuna fretta.
Ma loro sono ancora nel pieno dell’adrenalina dell’azione, ci dicono di seguirli. Partono veloci su una rotonda, e noi dietro sorpassando tutte le alte macchine e suonando il clacson per farci spazio seguendo la polizia. Dieci minuti di fast and furious versione Mozambico in giro per Maputo, per arrivare alla stazione e fare le denunce e firmare dichiarazioni e spiegare l’accaduto bene al capo di turno. Appena arrivati uno dei poliziotti lascia la pistola sulla scrivania, ci dice di sederci e se ne va. Io mi siedo toccando la pistola col braccio. Brividi. La sposto e la do a un poliziotto chiedendo se può tenerla lui.
Facciamo la denuncia, il mio amico è spettacolare nel raccontare la storia nei minimi dettagli fin dal principio in portoghese. Io invece sto zitto, un po’ sotto shock, sto elaborando il tutto e mi rendo conto di cosa è accaduto e di cosa poteva accadere. I poliziotti ci rendono le cose recuperate; io recupero quasi tutto, manca il Kindle. Il mio amico è molto più sfortunato e rimane senza computer. Io rimango in silenzio, per fortuna ho un amico che sa come ringraziare in maniera degna e con le parole giuste che riempiono di orgoglio i valorosi poliziotti, che davvero sono stati pronti e rapidi e hanno agito con coraggio e un po’ di incoscienza. Stingiamo mille volte le mani di tutti e siamo pronti ad andarcene. Arrivano due poliziotti in borghese, che sembrano della squadra speciale, vestiti eleganti con occhiali e scarpe lucide. Chiedono spiegazioni sul funzionamento del GPS, e su come siamo riusciti a seguire i banditi. É incredibile che nemmeno i poliziotti siano a conoscenza di tecnologie alla portata di tutti, visto che tutti abbiamo un cellulare.
Montiamo in macchina, facciamo un’abbondante colazione che offro ai miei tre amici, felice di potere offrire un’altra colazione. Un po’ più rilassati partiamo per Tofo, dove una volta tornato potrò girare anche nel pieno della notte con il mio computer in mano e i soldi che mi escono dalla tasca, e se qualcuno mi fermerà sarà per dirmi che mi stanno cadendo i soldi di tasca, di fare attenzione.
Anche questo è il Mondo.
Cugino che esperienza!! Per fortuna stai bene! In bocca al lupo e ocio!!
Caspita Walt, sembra la trama di un action movie…..invece storie di ordinaria follia….
…..giri l’angolo e passi dal backpacker hostel alla baraccopoli con tanto di pistole e sparatoie nel cuore della notte…….okkio!
cmq grandi i poliziotti mozambicani!
buon proseguimento e continua a viaggiare!