Arrivo a Goa, convinto di arrivare al mio ostello con il semplice passaggio di un tuk-tuk di dieci-quindici minuti, invece capisco subito che a Goa esiste anche un nord e sud Goa; c’è da lavorare; prendi un autobus, prendine altri due, fatti abbandonare nel mezzo del niente più assoluto, perché Goggle Maps mi dava l’ostello molto vicino. E in effetti, quindici minuti a piedi nel buio, per arrivare a questo That Crazy Hostel, che è più il tentativo di avere un nome degno delle pazze nottate Goane che non un vero e proprio marchio di fabbrica dell’ostello. Camerata da diciotto persone, aria condizionata fissa sui -2°, un bel via vai, ma nonostante tutto è abbastanza tranquillo e poi pago 20 euro per passarci 6 notti; si può fare. Noleggio uno scooter per 5 giorni e sono pronto a partire.
E’ bellissimo girare tra le colline, campagne e spiaggia di Goa, ai 20-30 all’ora e guardarsi attorno. Palme e pozze d’acqua ovunque, panorami incredibili tra una vegetazione antica e rigogliosa. Le coste molto popolate, sopratutto da turisti inglesi, russi e israeliani in cerca di sballo a basso costo. Qui tutti girano in scooter, ed è incredibile: anche quando credi di esserti perso nel niente più assoluto, trovi un abitazione, poi incontri bambini che giocano e infine uno scooter con una coppia di turisti che ti sfreccia accanto. Nel mezzo del nulla.
Faccio 280 km in cinque giorni , dentro e fuori tra la costa e l’interno, fermandomi per un tuffo e per mangiare in tutte le spiagge della parte nord di Goa. Dalla famose Anjuna Beach, prima antica sede di hippie europei e poi Calangute e Arambol dove sono andato per surfare, le spiagge sono covi di feste con musica trance e altro che non mi attizza.
Arambol, primo giorno arrivo e non c’è un’onda. Chiedo alla scuola di surf e mi dicono domani mattina. La mattina dopo le onde erano così grosse, che mi ritiro al bar a fare colazione e rimanendoci tutto il pigro giorno a leggere un libro. La libertà di essere da solo a volte cosa ti regala.
Visito i mercatini del sabato sera di Anjuna e Baga. Frequentatissimi mercatini pieni di spezie, tessuti, bigiotteria, vestiti e ogni altra cosa si possa fabbricare a mano. Chiaramente essendo turistici sono molto cari, ma all’esterno di attrazioni per polli e per gli indiani, come me. Street food in abbondanza, samosa, jalapenos fritti, dahl, varietà di pane. Mi ci tuffo. In entrambi i mercati chiaramente. Non spendo niente per compere di oggetti bellissimi ma che non ha senso portarmi in giro. Quindi spendo solo in cibo.
La pago poco e sto male 4 giorni. Maluccio ecco.
Fatto sta che adesso si torna a fare qualcosa. Per tre settimane in questo caffè con una art-gallery, al suo interno, permacoltura nel grande giardino, bed&breakfast ecostay con case sugli alberi, dove lavorerò tra bar, cucina, giardini, orti e guesthuose. Così per variare.
Nel mezzo del più o meno nulla, a dieci chilometri dalle spiaggie. In un dormitorio aperto tipo un fienile, con delle brande infami per sette volontari da tutto il mondo; ma alla fin dei conti si sta anche bene ed è un bell’ambiente gestito dalla proprietaria indiana architetto/artista e praticamente in autogestione dai volontari.
Poi deciderò dove passare capodanno.