Nessuno arriva al mercato per la prima volta e va a mangiare dalle donne del mercato. Se non ti ci porta qualcuno difficilmente ci arrivi, e la diffidenza non ti aiuterà nell’avvicinarti spontaneamente a un angolo nascosto tra le lamiere delle baracas che può apparire un po’ losco o perlomeno non propriamente un ristorante che passerebbe un qualsiasi controllo igienico-sanitario in una qualunque parte “fortunata” del mondo.
Per arrivare alle donne del mercato bisogna aggirare il venditore di ciabatte infradito e sigarette, passare tra il mercato della frutta e verdura e la baraca di Paulo, che si occupa di ricariche telefoniche, cambio valuta, e chissà che altro e infilarsi tra due pareti di mattoni in un passaggio largo un metro con delle onduline di lamiera malamente appoggiate in cima a creare un tetro arco di benvenuto, e una piccola chicane per lo strettissimo passaggio che fa da ingresso al ristorante del mercato.
È il ristorante che si permettono anche i locali, raramente ci sono turisti che passano di qua, ci vengono alcuni stranieri che ormai vivono stabilmente nel villaggio costiero. Ci sono un piccolo tavolo di cocco e altri due tavoli di pino, con delle piccole panche in legno, il tutto in circa cinquanta metri quadrati di pavimento sabbioso. Tre fuochi diversi sono accesi negli angoli dove tre donne con le rispettive aiutanti, preparano le pietanze classiche di questa regione. Non capita dappertutto di trovare un ristorante a cielo aperto così; alzando lo sguardo si può veder il cielo in parte degli squarci creatisi con il crollo di alcune parti del soffitto in cemento; ne fuoriescono i ferri per l’armatura ben piegati e arrugginiti, non lasciando presumere niente di buono per gli anni a venire. L’altra parte del soffitto è di lamiera solo a coprire un tavolino, mentre gran parte del ristorante rimane a cielo aperto.
Vitoria mi raccontò di quando una parte del soffitto crollò. Per fortuna era notte, e il mercato era vuoto. La mattina seguente quando le donne arrivarono al mercato trovarono il piccolo tavolo di cocco dove loro erano abituate a prender il thè la mattina, completamente schiacciato da una lastra di cemento armato crollato dal soffitto. Una lastra di circa due metri per un metro; se per caso ci passate è ancora là nel ristorante, l’hanno solo spostata da una parte dove non da così fastidio.
Vitoria con Sumbi e Olinda è una delle tre cuciniere del ristorante. Si alternano nel fare riso con una crema di foglie di mantioca, il matapa, oppure riso con pesce con latte di cocco e noccioline, e riso con la fagiolata. Questo è il menu per trecentosessantacinque giorni all’anno. Prezzo massimo un euro e trenta. Se chiedi acqua o qualsiasi altra bibita gassata, Marta, una delle aiutanti urla qualcosa in bitonga verso l’altro lato del muro, e in pochi secondi arriva un ragazzotto sorridente con la bottiglia richiesta e l’apribottiglie nell’altra mano.
Vittoria è una bella donna, e come tutte le donne africane ha un’età indefinita. I denti color avorio risaltano ancor di più sul suo viso d’ebano. I capelli sempre ordinati e nascosti sotto a un foulard colorato emanano profumo di fresco e pulito. I larghi fianchi avvolti in una capulana annodata sotto al grande seno portato con fierezza e orgoglio. Come tutte le donne africane anche lei è sempre a suo modo e con eleganza, provocante, ma senza mai rendersi oggetto o scadere in volgarità.
Vitoria è una donna fortunata, lavora e ha una famiglia. Non ha figli e per una donna della sua età in Africa, è una cosa insolita. Lei vorrebbe tanto un figlio; qualche anno fa rimase incinta, ma l’ennesimo aborto spontaneo la svegliò brutalmente dal sogno di esaudire il suo più grande desiderio. Da quel giorno suo marito non volle più sentir parlare di fare altri figli; lui ne ha già altri tre con la prima moglie che vive da un’altra parte, in un villaggio vicino. Anzi suo marito disse a Vittoria che nello sventurato caso che rimanesse incinta gli sgonfierebbe la pancia a calci e pugni, perché un altro figlio non se lo possono permettere. Quando me lo racconta gli scende una lacrima, e mi dice che lei quell’uomo lo ama, è una brava persona e un bravo papà per i suoi (di lui) figli e deve ringraziare il Signore di averlo trovato perché dice, il suo amore è ricambiato.
Ma lei non perde mai il sorriso, seppur a giorni ne sfoggia uno molto forzato che nessuno sa cosa si nasconda dietro. È molto sensibile e come tutti gli abitanti della zona si prende molto a cuore qualunque problema di cui si venga a conoscenza, sia esso mio, suo o di qualcun altro che passava di là. È una donna che si lascia coinvolgere, e che fa domande senza mai essere invadente, seppur cercando di venir a conoscenza di qualcosa di interessante per sfoggiarlo in un po’ di sana fofoca nel momento del chà.
Le signore del mercato sono un po’ tutte così, e fanno la stessa vita tutti i santi giorni: si alzano la mattina e percorrono a piedi su sabbia quei chilometri che separano i loro villaggi dalla strada principale. E da li avanti sui chapas, per arrivare al mercato e lavorare tutto il giorno in cambio di poco, in cambio di quel che arriva alla fine della giornata. E la sera indietro sui chapas, fino al punto dove la strada arriva al più vicino sentiero per casa. Poi nuovamente i chilometri a piedi nella sabbia, fino a casa.
Vitoria scalda gli avanzi del ristorante al mercato, segno di una giornata non così buona al lavoro. Abbraccia il marito che puzza un po’ d’alcol, ma almeno non ha niente per cui lamentarsi oggi. La luce non c’è più da qualche ora ormai, i cavi dell’elettricità sono arrivati solo fino alla strada per il momento. Ma presto il governo porterà la luce fino a lì, lo promettono da anni.
Vitoria va e srotola la steira sulla quale dorme, ai piedi del tavolo di fronte all’ingresso. Chiude gli occhi e pensa che in quel momento un altro giorno sta ricominciando. Gli piace pensare così; quando è il momento di addormentarsi per lei comincia una giornata nuova. In questa maniera lei sa che la giornata comincerà bene per le prima ore tranquille della notte, unico suo momento di riposo; poi prima dell’alba canterà un gallo o il caldo insopportabile all’interno della sua capanna la sveglierà e tornerà la normale, dura e faticosa giornata di una donna africana.
Complimenti Luca mi sembra di essere seduto a quel tavolo a mangiare quel pranzo.un saluto alle donne del ristorante.